Co.A.S. Medici Dirigenti

Associazione di medici dipendenti ospedalieri Organizzazione di categoria di Medici Ospedalieri Dipendenti dal S.S.N.

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Morte di una Collega

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NON SI PUO' MORIRE DI LAVORO

E' una frase molto bella che esprime un concetto molto semplice : la forza del desiderio di vita e del diritto alla vita.

E' la frase con cui il marito della Collega uccisa a Bari (Paola Labriola) ha espresso pubblicamente il suo dolore.

Chi scrive ha una quarantennale esperienza professionale passata nei Pronto Soccorso, nei reparti di Chirurgia d'urgenza, nelle sale operatorie dove arriva - in forma spesso esasperata - una variopinta umanità che si manifesta con le espressioni più varie e imprevedibili.

Però mi sembra di ravvisare un denominatore comune nei tanti femminicidi di questi ultimi anni e nei due omicidi di colleghe che avevano l'unica colpa di essere in quel momento al lavoro. Mi riferisco alla Dott.ssa Paola Labriola ed alla Collega trovata uccisa in uno sperduto ambulatorio della Sardegna una decina di anni fa.

Ambedue svolgevano il servizio Loro richiesto, sole, senza alcuna forma di protezione, ambedue vittime di due individui di sesso maschile già conosciuti per la loro patologia mentale. Dopo la morte della Collega sarda, la Regione Sardegna istituì turni di vigilantes nelle sedi di guardia medica: costo venti milioni di euro all'anno.

Adesso tutti gridano per questo nuovo delitto; tutti chiedono "fatti concreti" (Smi – Calì) e "privilegiare sicurezza degli operatori" (ANAAO – Mencarelli), continuando a riempire le pagine di parole inutili ed assordanti, spesso pronunciate con l'ansia di dire, su un fatto appena accaduto, subito qualcosa, al fine di sfruttare il clamore suscitato sulla stampa dal fatto stesso e riceverne quindi un "bonus visibilità".

Noi del Co.A.S. riteniamo che più di 100 femminicidi in 200 giorni del 2013, quasi tutti per mano di individui di sesso maschile e già conosciuti dalla giustizia e dai centri di psichiatria, dovrebbero fare ripensare alla svelta la gestione sia dei pazienti psichiatrici che dei violenti conosciuti come tali. Non vorrei che qualcuno pensasse che stia riproponendo la riapertura dei manicomi, però potrebbero essere ideati "centri e servizi" dove queste persone, incapaci di gestire i loro pensieri e la loro vita, possano passare i loro giorni lontani dallo stress di una vita quotidiana per la quale sono inadatti a causa della loro patologia, incapaci di interpretare la vita condotta in forma "normale" e che rappresenta per loro motivo di rancore continuo.

Nella mia vita professsionale ho dovuto spesso sollecitare aiuto nei confronti di persone violente incapaci di dominare uno scoppio d'ira o un momento di dolore, con atteggiamenti eccessivamente dimostrativi speravano di giustificare la rottura di costose vetrate, porte, sedie e quant'altro gli capitasse a tiro.

Ormai da tempo, in forma sempre più lassista, lo Stato e le Istituzioni sono rimaste vittima di un "buonismo" che – mi sembra – non abbia fatto altro che incentivare il manifestarsi di queste forme di violenza privata – fino all'omicidio della Collega Paola – non essendo più capaci di difendere la "maggioranza silenziosa" da pochi elementi forzatamente inseriti in un sistema ormai inadatto a loro.

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